Vita di San Cataldo

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Patrono di Taranto, nacque in Irlanda, nel Munster - forse a Canty, nella diocesi di Waterford -, nella prima metà del sec. VII, da famiglia assai religiosa, di agiate condizioni sociali. Ricevette la sua educazione nel celebre monastero di Lismore, fondato non molto tempo prima, nel 633, da s. Carthagh. Nel monastero, che era già allora uno dei più importanti centri di evangelizzazione e di civilizzazione dell'isola, e che manteneva stretti rapporti con i maggiori centri culturali e religiosi del continente, C., compiuti i suoi studi, e dopo aver distribuito tra i poveri il patrimonio ereditato dal padre, rimase come maestro. La sua grande pietà e la voce dei miracoli che si diceva andasse compiendo gli guadagnarono ben presto la venerazione del popolo e la fama di santo taumaturgo; ma fu proprio la voce dei miracoli da lui operati a provocare i sospetti del duca dei Desii, Meltrid, il quale lo accusò di arti magiche e stregoneria presso il re del Munster. Arrestato e gettato in prigione, C. venne tuttavia liberato dopo qualche tempo in seguito - si disse - a due eventi prodigiosi: la morte improvvisa di Meltrid e l'apparizione di due angeli al re. Turbato, il re stesso si indusse a scegliere C. come vescovo per la sede di Rachau; volle inoltre dotare la mensa vescovile delle rendite degli antichi possedimenti di Meltrid.

 

Non siamo informati sui particolari dell'attività pastorale svolta da C. in questo suo primo episcopato: la Vita usa, in proposito, espressioni molto generiche. D'altro canto, la sede stessa di Rachau non appare menzionata in altre fonti a noi note, ed è stata identificata dagli studiosi ora con Rathan, ora con Shánrahan, ora - e questa sembra l'ipotesi più probabile - con Shanraghan, località situata ad ovest di Clogheen, nel South Tipperary.

Dopo alcuni anni di ministero, comunque, C. lasciò la diocesi e l'Irlanda per compiere un pellegrinaggio in Palestina; e lì avrebbe voluto fermarsi per il resto dei suoi giorni, allo scopo di condurre una vita di solitudine, di preghiera e di rinuncia. Non poté tuttavia appagare il suo desiderio: la leggenda dice che fu indotto da una apparizione a recarsi in Italia dove avrebbe dovuto riportare "ad catholicae fidei firmitatem" il popolo di Taranto che, già un tempo convertito dall'apostolo Pietro e dal suo discepolo Marco, era tornato allora agli antichi errori. Dopo un viaggio fortunoso, toccato il litorale adriatico dell'Italia, C. sbarcò ad Otranto e si diresse a piedi verso Taranto.

 

"Ad portum Hydrunti perveniunt flatu prospero succedente",precisa il biografo, dopo aver narrato le peripezie incontrate nella navigazione dal santo e dai suoi compagni. Alcuni studiosi hanno avanzato però l'ipotesi che egli fosse invece sbarcato presso Lecce, nella rada che da lui prende il nome; mentre, secondo altri, avrebbe fatto naufragio nel golfo stesso di Taranto, appena doppiato il capo di Santa Maria di Leuca; secondo altri ancora sarebbe naufragato durante il viaggio verso la Palestina.

 

 

Giunto a Taranto, la cui sede era vacante da molti anni, C. venne eletto vescovo per comune consenso del clero e del popolo, dopo uno strepitoso miracolo compiuto al suo arrivo, alla porta della città. Da allora, per quindici anni, sino alla morte, resse la diocesi di Taranto con sollecitudine di padre e di apostolo, dando esempio di pietà, di zelo religioso, di rigore di vita. La predicazione del Vangelo e la conversione dei pagani furono gli obbiettivi della sua opera pastorale: a questo fine curò la formazione culturale e religiosa dei sacerdoti e dei chierici dei vari Ordini, che assegnò alle diverse chiese di Taranto e dei paesi circonvicini; volle osservata la liturgia e la recitazione dell'ufficio. Consumato dalla vita di penitenza e di sacrificio, morì l'8 marzo di un anno imprecisato, tra la fine del sec. VII e gli inizi dell'VIII, dopo aver rivolto ai rappresentanti del clero e del popolo, che si erano stretti al suo capezzale, un appello a continuare nella fede la sua opera.

Il corpo, composto in un "sepulchrum marmoreum mirae pulchritudinis",venne solennemente inumato - come era stata volontà di C. - sotto il pavimento del duomo, "in parte orientali, in loco qui dicitur S. Iohannis in Galilaea",in corrispondenza dell'attuale battistero. Il monumento, del quale si era perduto il ricordo dopo la distruzione di Taranto compiuta dai Saraceni nel 927, affiorò il 10 maggio 1071, durante i lavori di scavo per le fondamenta della nuova cattedrale voluta dal vescovo Drogone. Avvisato che si era scoperta sotto il pavimento dell'antica basilica "tumbam marmoream satis pulchram" - così riferisce l'autore della Inventio -, il presule, alla presenza di una gran folla di clero e di fedeli, "accepto fossorio, tumbam aperit",e i presenti poterono vedere "sanctas reliquias, rubicundiores (ut legitur) ebore antiquo. Crucem inveniunt auream, nomen sancti Latinis litteris designantem". Riconosciute nelle reliquie i resti di uno dei suoi antichi predecessori, Dragone fece collocare l'arca sotto l'altare maggiore della nuova cattedrale. Le reliquie, di cui fu compiuta una ricognizione nel 1107 dal vescovo Rainaldo, vennero traslate nel 1151 in una cappella particolare, fatta costruire dall'arcivescovo Geraldo; nel 1657, infine, Tommaso Caracciolo fece erigere in onore del santo una nuova e più sfarzosa cappella (il cosiddetto cappellone), dove fece trasferire i resti di C., che vi sono tuttora venerati. Il ritrovamento e le successive traslazioni delle spoglie mortali di C. furono accompagnate da miracoli e segnarono le tappe della propagazione del culto del santo, che, proclamato patrono di Taranto, fu oggetto, a partire dal sec. XII, di una venerazione assai diffusa e ancora viva in tutta Italia, in specie quella centromeridionale e insulare, e in Irlanda, sua patria d'origine. La sua festa viene celebrata il 10 maggio.

Tutte le notizie su C. si traggono da due composizioni relativamente tarde, comunque non anteriori al sec. XII: la Vita beati Cataldi archiepiscopi Tarentini (Bibliotheca hagiographica Latina, n. 1652), di autore anonimo, e la Inventio et translatio an. 1151, et miracula (ibid., n. 1653), opera composita, della cui prima parte - la Inventio propriamente detta - è autore un nobile tarantino, Berlingerio, di poco posteriore al primo ritrovamento delle reliquie del santo. Questa circostanza, unita al fatto che la Vita, per quanto diffusa e ricca di particolari edificanti, segue gli schemi propri della letteratura agiografica, e che la Inventio, nel suo prologo, fa di C. il primo vescovo di Taranto, consacrato da s. Pietro in uno dei suoi viaggi apostolici, ha indotto alcuni storici della Chiesa (Lanzoni, Cappelletti) a respingere come indegni di fede i particolari biografici contenuti nella Vita e nella Inventio e ad espungere il nome di C. dalla lista episcopale tarantina. Essi ammettono, tuttavia, che il santo, monaco irlandese e vescovo di una diocesi dell'isola, sia realmente esistito, e che sia morto a Taranto durante un pellegrinaggio in Terrasanta. Ma la Vita dice espressamente che C. fu monaco a Lismore, che fu discepolo di s. Carthagh, che fu vescovo di Rachau e poi di Taranto: tali affermazioni non possono venire impugnate esclusivamente per ciò che riguarda gli ultimi quindici anni della vita del santo, solo perché le fonti italiane coeve - per altro assai lacunose - non ricordano un vescovo di Taranto di questo nome. Quanto alla Inventio, la relazione di Berlingerio contiene particolari che trovano conferma nei reperti archeologici. Nella cattedrale di Taranto viene conservata con la massima venerazione una piccola croce benedizionale d'oro, che reca su di una delle sue facce il nome di C., inciso in caratteri maiuscoli riferibili ai secc. VII-VIII. Tale crocetta non può essere che quella ritrovata, secondo la testimonianza di Berlingerio, nella tomba di C., "nomen sancti Latinis litteris designantem". C. visse dunque non prima del terzo decennio del sec. VII, e la sua morte deve attribuirsi alla fine del sec. VII o agli inizi del sec. VIII, in piena conformità con le notizie fornite dalla Vita; e il suo pontificato tarantino deve porsi tra quello del vescovo Germano, ricordato nel 680, e il vescovo Cesario, attestato nel 743.

Sul rovescio della ricordata crocetta aurea una seconda mano ha aggiunto, in caratteri riferibili al sec. XI, l'iscrizione CATALDUS RA:, completata in seguito, da una mano del secolo successivo, con la sillaba CHAV, a designare con maggior precisione il luogo di provenienza del santo. Lo Stornaiolo ha avanzato l'ipotesi che tale iscrizione sia stata aggiunta in occasione del primo ritrovamento della tomba di C., e completata nella ricognizione del 1107 o nella traslazione del 1151.

Nel 1924lo Hofmeister ha pubblicato un Sermo de inventione sancti Cataldi confessoris, composto tra il 1094 e il 1174, che narra la traslazione delle reliquie del santo, da una chiesa posta fuori delle mura della città a quella tarantina di S. Biagio. A C. sono attribuite alcune Profezie, riguardanti soprattutto la famiglia regnante a Napoli, contenute in un codice scoperto, sepolto sotto una croce plumbea, nel 1492 nella chiesa di S. Pietro della Porta a Taranto. Di tali profezie, ovviamente apocrife, si trova menzione in diverse cronache italiane della fine del sec. XV